La Prima Volta

Sto scrivendo questo resoconto sulla mia prima partecipazione alla Paris-Brest-Paris con la caviglia destra paurosamente gonfia, quasi non posso camminare; ho perso la sensibilità nei piedi; ho un formicolio costante nelle mani che mi infastidisce parecchio; il mio volto è gonfio, gonfio come quello di un pugile suonato al termine di un lungo incontro. Non mi sono mai visto addosso delle occhiaie tanto grandi e profonde, e gli occhi sono delle timide fessure nascoste tra le palpebre e le occhiaie, sorprende come possa ancora vedere. Nel complesso sono stravolto dalla fatica e completamente svuotato di qualsiasi forza. Ma non posso smettere di sorridere: ho portato a termine la prova ciclistica più lunga e dura al mondo, ho pedalato per 1200km entro le 90 ore regolamentari, sono, come dicono i francesi, un ancien. Ho finito la PBP. Ci saranno tanti, tantissimi ciclisti che andranno più forte di me e mi supereranno, ma io sono andato a Brest e sono tornato in bicicletta, e la soddisfazione è enorme.

Non posso dire che la fortuna mi abbia aiutato. Praticamente ha sempre piovuto durante le 88,5 ore che ho impiegato a portare a termine la gara. Sopratutto le prime 24 ore sono state impressionanti: era la prima volta che pedalavo per tante ore sotto una pioggia fredda ed intensa. È cominciato a piovere 15 minuti prima della partenza e mi sono messo addosso vestiti asciutti solo 4 giorni dopo, al ritorno all'hotel. Con l'asfalto sempre bagnato, la visibilità notturna era ridotta ai minimi termini soprattutto per chi, come me, è costretto a portare occhiali. E poi il vento: i primi due giorni in faccia molto forte, poi meno intenso, ma sempre fastidioso.

Ma questo fa parte delle regole del gioco, si sa che in Bretagna a fine agosto può piovere, e piovere tanto. Ed è dal 1881, quando si è corsa la prima edizione della PBP, che i ciclisti scrutano il cielo per cercare di prevedere le condizioni meteo della gara. Perchè se già è una impresa finirla col bel tempo, sotto l'acqua diventa durissima. E i 1200km da percorrere entro i limiti di tempo imposti dalla organizzazione, con continui saliscendi e infinite salite, diventano impossibili. Ed i risultati di questa edizione parlano chiaro: oltre il 34% di ritirati tra i 5300 partecipanti, tre volte il normale, e tanti ciclisti arrivati oltre le 90 ore massime.

E si che eravamo partiti da Madrid sotto un bel sole rassicurante. Con il gruppo di amici con il quale avevo portato a termine le prove qualificatorie siamo arrivati a Parigi la notte del sabato, dopo oltre 12 ore in furgoneta, durante i quali non ho mai smesso di raccogliere consigli preziosi dagli anziani del gruppo, gente con 2 o 3 PBP all'attivo: vai piano all'inizio, usa rapporti agili, mangia e bevi tanto, segui i tandem che vanno piano in salita e forte in pianura, etc. La tensione aumentava con ikm e la domenica ci presentiamo alla partenza per il rituale controllo delle bici e per completare le procedure di iscrizione, ma l'atmosfera non era quella di sempre: faccie lunghe e preoccupate tra i partecipanti, le previsioni meteo parlavano chiaro. Pioggia lunedì, martedì, mercoledì e giovedì, richiarite il venerdì. Così è stato.

Il lunedì riposo assoluto e poi verso le 8 di sera ci dirigiamo verso lo Stadio dei Diritti dell'Uomo di Saint-Quentin-en-Yvelines, nella periferia di Parigi vicino a Versailles, partenza ed arrivo della gara. Una marea di ciclisti ci attende. Ci mettiamo in fila per la partenza, l'organizzazione ha deciso di farci partire a blocchi di 500-600 persone. A poco a poco il nostro turno si avvicina. Sono nella parte anteriore del nostro gruppo e vicinissimo al nastro di partenza vedo Felix, uno dei nostri più forti, e con un paio di spintoni gli sono al fianco. Felix è un veterano, questa è la sua terza participazione. Decido di stargli accanto il più possibile. L'inizio è sempre complicato: ci sono tante rotonde, folla acclamante, ciclisti eccitati e con la pioggia cadere è un attimo. Uno, due, tre via, partiti! Cuore impazzito, davanti a me Felix, la macchina dell'organizzazine e delle moto della polizia con sirene spiegate. Traffico bloccato ed una folla di gente ad aplaudire, mi sento un campione. Difficile rimanere concentrati, l'emozione è tanta. Poi, dopo 15km circa, la machina si fa da parte e rimaniamo soli nel mezzo della campagna, l'avventura comincia.

Da quel momento i ricordi si fanno più confusi. La Paris Brest Paris è come una lunga corsa a tappe di circa 80km. Alla fine di ogni tappa c'è un controllo, dove i partecipanti devono certificare il passaggio e dove l'organizzazione mette a disposizione un ristorante, un bar, un negozio, un mecanico ed un dormitorio. Quando si arriva al controllo normalmente prima si timbra il cartellino, poi si va al ristorante ed infine si riparte in bici verso la prossima tappa. All'andata ed al ritorno i controlli sono gli stessi.

La maniera classica di affrontare la PBP è di arrivare a Loudeac (450km), nel mio caso verso le 22, dopo circa 23 ore di gara, e dormire li qualche ora. Il secondo giorno doppiare Brest e tornare a Loudeac (750km). Dormire lì qualche ora e poi arrivare a Parigi (1200km) fermandosi un'altra notte lungo il cammino. Questo era il mio piano fino a che arrivato a Loudeac mi dicono che il dormitorio è pieno e c'è una lunghissima coda di ciclista fuori sotto l'acqua che aspettano una branda per andare a dormire. Il dormitorio di Loudeac è il più grande della PBP ed ha raggiunto una certa notorietà per il microclima presente al suo interno. Infatti più di 4000 ciclisti vi dormono a turno stanchi, bagnati e puzzolenti. Rutto e cureggia sono liberi. La temperatura è vicina ai 30 gradi e c'è un odore di umanità indescrivibile. All'entrare nel dormitorio quasi ti si bloca la respirazione, ma una volta accucciato nella branda lasciata calda dal precedente ciclista ci si addormenta come angeli. Al ritorno ho avuto il piacere di dormire 6 ore a Loudeac, ed è stato uno dei sonni più profondi della mia vita.

Invece di aspettare per un posto libero o stravaccarmi in uno stanzone qualsiasi come hanno fatto in molti, decido con Felix di proseguire verso Charaix (525km), il controllo sucessivo. Fu una decisione sbagliata. Dopo più di 26 ore in bici la stanchezza iniziava a farsi notare. Stanco, bagnato, sotto la pioggia non vedevo niente ed andavo molto piano e a zigzag. Ad un certo punto vedo una lucina bianca in cima alla salita e la prendo come punto di riferimento. Andare diritto verso la luce mi aiuta ad pedalare meglio ma dopo pochi istanti sento delle urla furibonde: “A droit!A droit!”. Era la luce del primo in gara che era già arrivato a Brest, stava tornando e certo non capiva il mio atteggiamento suicida. Quando questa scena si ripete per la terza volta, decido che è meglio fermarsi e mi accucciolo sullo scalino di entrata di una casa lungo la via per una mezz'oretta. Poi riprendo a pedalare ma approfitto di un controllo a sorpresa predisposto dall'organizzazione per buttarmi a terra un paio d'ore. Quando mi alzo, proseguo per Charaix dove arrivo alle 6 di mattina circa. Una delle notti più lunghe della mia vita, che difficilmente scorderò.

Il mercoledi sono già sulla via di Brest. Ad un certo punto sento un fischio dietro e mi faccio da parte sulla destra. Mi sorpassa a velocità supersonica la squadra australiana. Una decina di australiani giganteschi vestiti in verde e giallo, un vero spettacolo. La PBP è forse la gara ciclistica amatoriale più internazionale al mondo: ci sono australiani, inglesi, francesi, tedeschi, neozelandesi, americani, svedesi. In molti si presentano con una tenuta ad hoc. Gli italiani erano vestiti tutti con una elegante divisa bianca e azzurra, gli australiani in verde e giallo, i danesi bianchi e rossi. Noi madrileñ avevamo una bella tenuta bianca, rossa e nera con scritto Madrid. Il colpo d'occhio è molto bello e lungo il percorso ti trovi sempre in compagnia di qualche ciclista venuto da chissà dove che è sempre pronto a scambiare qualche parola. Per qualche chilometro ho anche aprofittato della scia di una altissima svedese con una lunga treccia bionda, perchè ci sono anche tante donne in gara.

A 25km da Brest inizio ad avere molta fame, e ad una svolta a sinistra tra una piccola folla di locali che stavano incitando i partecipanti vedo una signora con un enorme baguette in mano. Mi fermo davanti a lei proprio quando stava per addentarla e le chiedo: “Madame, cette baguette c'est pour qui?”. Lei mi guarda un pò sorpresa e poi mi dice “Mais c'est pour vous monsiuer!” e me la da. Mentre me la sto divorando mi dice “Attendez” sparisce e torna con una birra gelida. Tracanno la birra, finisco il panino, do due baci a Marie Bernadette e via verso Brest! Questo episodio mi allieta non poco l'arrivo a Brest, che in effetti risulta essere piuttosto noioso: è l'unica grande città del percorso, c'è molto traffico ed è tutto un saliscendi con tanto vento. Con la mente si è già proiettati verso il ritorno, bisogna preparasi ad affrontare altri 600km, e c'è poco tempo per godersi la città.

Ai partecipanti l'organizzazione offre due birre: una all'arrivo a Brest, l'altra a Parigi al traguardo. Tanto il freddo e l'acqua che fino a Brest avevo bevuto solo la birra di Marie Bernadette, ma quella offerta dall'organizzazione non potevo certo rifiutarla. Me la sgolo con molto piacere, fredda e gustosa. Al ristorante faccio la solita razzia di mangiare e poi riparto. Arrivo a Loudeac a mezzanotte, dormo 6 ore ed il giovedì mattina riparto verso le 7 dopo una enorme prima colazione. Freddo, sonno, stanchezza e pioggia si, fame no: questo è stato il mio motto durante la gara e la quantità di cibo che sono riuscito ad ingerire nei vari controlli ha dello stupefacente. In più in saccoccia mi portavo sempre un panino per ogni evenienza. E nonostante questo sono incappato all'andata in una piccola crisi di fame all'arrivo a Loudeac. Imperdonabile.

A Villaines-la-Juhel arrivo verso le sette di sera. Ho già 1000km nelle gambe e sono piuttosto stanco, a Parigi mancano 220km. Con il tempo vado bene ma non benissimo: ho solo qualche ora di vantaggio rispetto al limite massimo, la pioggia evidentemente mi ha rallentato. Mangio abbondantemente e decido di dormire 4 ore. Ad andare avanti proprio non ce la faccio. Vado nel dormitorio, sorprendentemente vuoto, e chiedo la sveglia alle 24. Quando arriva l'ora mi rivesto lentamente, i vestiti sono tutti bagnati, ed esco. Fa molto freddo, piove ed è notte fonda. Sono solo e stanco. È mezzanotte e devo pedalare per lo meno altre 4 ore nel buio e sotto l'acqua per arrivare al prossimo controllo. Il mio corpo inizia a notare lo sforzo, le ginocchia mi fanno già un pò male e sono gonfie. Mi faccio coraggio e mi butto nella notte fredda e buia. Non scorderò mai quel momento.

La terza notte è la più dura. Le prove classificatorie arrivano fino a 600km. Qualcuno fa anche una prova da 1000km per allenarsi, ma oltre non si va mai, non è umano. Non si sa come il corpo può reagire. La privazione di sonno, lo sforzo immenso, i dolori fisici, tutto viene ingigantito durante la terza lunga notte in sella ad una bici.

Ma io mi sento bene, una volta riscaldato, i dolori sembrano passare e dopo poco vedo delle lucine rosse all'orizzonte, sono dei poveri disgraziati come me. Piano piano si forma un gruppetto. Una coppia di italiani in tandem, due inglesi ed un francese. Uno degli inglesi addirittura con pignone fisso: 1200km senza marcie, ogni salita in piedi sui pedali, veramente incredibile! Mi metto dietro e mi guardo bene dal tirare il gruppo. Lungo la strada si passa tanti paesini fantasmi, sono tutti a letto i bretoni, beati loro! Ed intanto si iniziano a vedere i primi ciclisti per terra. Con il passare dei chilometri aumentano, sembra un fronte di guerra. La bicicletta appoggiata per terra e li vicino un ciclista seduto o sdraiato nei posti più disparati: fermate di autobus, panchine, scalini, androni, alcuni stravaccati lungo la strada nel fango o nell'erba bagnata, altri più organizzati con una di quelle coperte termiche leggere ed argentate. Dei veri e propri relitti umani, sconvolti dalla stanchezza, ritorti su loro stessi in posizioni improbabili, ed ancora lontani, molto lontani dalla meta. Ti conforta molto vedere loro li mentre te sei in sella pedalando, ed una sensazione di forza di pervade.

La terza notte la ricordo come la più bella, anche perchè ad un certo punto smette di piovere. Piccoli gruppi di ciclisti si radunano nei bar e panifici dei vari paesini. Una delle cose che fanno straordinaria la PBP è propio questo: i bar, panifici, alberghi e ristoranti lungo il percorso rimangono aperti giorno e notte durante la PBP. Gli abitanti locali lungo la strada predispongono per i cilcisti tavolini con te e caffe, biscotti, pane e salame, di tutto insomma, e continuamente arrivano incoraggiamenti: “Bon courage, bon retourn, allez allez, bravo “. Le macchine si fermano per incoraggiarti, suonano il clackson per animarti, e non per mandarti a quel paese come succede di solito, e ti fanno sentire veramente speciale. Tutti qui sono dalla tua parte, sanno lo sforzo che stai facendo, e vogliono vederti trionfare. In Bretagna, la patria di Hinault, il ciclismo è sacro e lungo la strada ci sono perfino monumenti alla bici! Incredibile.

Ma io non mi fermo. Mi sento bene ma vado piano, me ne rendo conto perchè in tanti mi superano. Però io non scendo mai di bici fuori dai controlli, e solo due volte mi sono accucciolato in un campo per bisogni che potete bene immaginare. Altri si fermano più spesso, a bere un caffè e mangiare un croissant, per esempio mi ricordo di un gruppetto di tre tedeschi mi ha superato per lo meno una decina di volte! Però alla fine è stato propio questo che mi ha permesso di finire in tempo.

A Mortagne-au-Perche (1100km) arrivo verso le 5 di mattina. Mangio una quantità di cibo stupefacente anche per le mie enormi capacità e decido che posso dormire fino alle 6:30 di mattina. Regolo la sveglia sul mio orologio, metto le braccia sul tavolo e vi appoggio la testa. Mi addormento inmediatamente nella confusione assordante del ristorante e quando suona la sveglia rapidamente mi dirigo verso Dreux, l'ultimo controllo prima dell'arrivo. Sono 70km di cui solo la prima metà rappresenta delle serie difficoltà. Ormai è quasi fatta, all'arrivo mancano solo 140km e sono in anticipo di parecchie ore. Quando monto in bici capisco però chenon sarà una passeggiata, la caviglia destra adesso mi fa molto male e non posso spingere bene sul pedale. Tento di accodarmi ad un tanderm, ma non ce la faccio a stargli dietro. Adesso sono in tanti a superarmi, ma Dreux è dietro l'angolo ed arrivo verso le 10. Lì l'ultimo rifornimento e un pò di riposo: è fatta, questa volta è fatta davvero! Mancano solo 70km ed ho sette ore di tempo. Mi riposo un momento e poi via verso Parigi. Ora è dura davvero, non credo di aver mai superato i 20km/h nell'ultima tappa, la stanchezza si fa sentire davvero. Psicologicamente ti senti già arrivato ma devi comunque pedalare per 70km e addesso ho dolori ovunque, in particolare la maledetta caviglia, ma perchè fa male la caviglia in bici? Non lo so, ma intanto sono già arrivato a Saint-Quentin-en-Yvelines. Inizio a riconoscere le strade che portano vero lo stadio dei Diritti dell'Uomo. Le vie addesso sono affollate di gente: “Allez, bravo, courage, allez, !!” Applausi. Mi sento un eroe. L'ultima rotonda, il cartello Arriveè. È finita. 88 ore e mezzo. Ce l'ho fatta! Una soddisfazione inmensa mi pervade, una gioia infinita, un fuoco dentro, ma la stanchezza è tanta che neanche guardo il mio tempo finale, credo di aver pedalato per 59 ore ma non ne sono sicuro.

Poi il ritorno all'hotel. Si ripensa a questa gara e sul perchè sia così straordinaria. Forse perchè è l'evento meglio organizzato a cui ho mai partecipato, grazie anche ai 5000 volontari sparpagliati nei vari controlli che per 4 giorni e 3 notti sempre sono pronti a rincuorarti, a coccolarti, ad incoraggiarti, a farti sentire un campione. Forse perchè è l'evento più antico del ciclismo, e sul fatto che sia una gara d'altri tempi non vi è alcun dubbio. Forse perchè si organizza ogni 4 anni e riunisce ciclisti da tutte le parti del mondo. Forse per la magia del ciclismo notturno. Forse per l'amore dei bretoni verso questa gara e verso tutti i coloro i quali vi partecipano. Forse perchè ti permette di prefiggerti un obiettivo fisicamente, mentalmente e sportivamente al limite del possibile. O forse per tutte queste cose messe insieme. Ma già si ripensa agli errori commessi e a come migliorarsi perchè tra 4 anni sarò un ancien, e saranno gli altri a chieder a me come si fa ad andare e tornare da Brest in bicicletta pedalando per 1200km.

Foto

Reportage di Telemadrid sui partecipanti alla PBP. Se volete sapere come parlo lo spagnolo guardate il video.

Ranieri Casalini, 1-8 settembre 2007