Boston-Montreal-Boston 2004

Nel 1891, un editore francese di nome Pierre Griffard organizzò una gara ciclistica di 1200Km, da Parigi a Brest e ritorno. Il ciclismo allora era ancora una novità, e Griffard capì che un'avventura del genere, raccontata attraverso le pagine del suo giornale, avrebbe aumentato le vendite. Oltre cento ciclisti completarono l'edizione inaugurale, nonostante gli allarmisti secondo cui il corpo umano si sarebbe addirittura disintegrato per lo sforzo. Il giro Parigi-Brest-Parigi (PBP) si è poi svolto a intervalli regolari, prima ogni dieci anni, poi ogni cinque, e dal 1975, ogni quattro anni.

In America non c'era niente di simile fino al 1988, quando Charlie Lamb organizzò la prima edizione di Boston-Montreal-Boston. Come il giro francese, anche BMB è una maratona ciclistica di 1200Km da completare entro 90 ore. PBP, BMB, e altri eventi simili non sono gare vere e proprie: i risultati vengono elencati in ordine alfabetico, e il miglior tempo è premiato tuttalpiù con un mazzo di fiori e un applauso. Ognuno corre per stabilire un primato personale. Il percorso non è aperto a tutti: occorre qualificarsi completando, entro tempi limite prestabiliti, una serie di "brevetti" o qualifiche su percorsi di 200Km, 300Km, 400Km, e 600Km. BMB si svolge ogni anno in cui non si corre PBP.

Boston-Montreal-Boston parte da Newton, alla periferia di Boston, attraversa gran parte del Massachusetts, tocca un angolo del New Hampshire, e procede verso nord-ovest attraverso Vermont e Québec fino a Huntingdon, 60Km a sud-ovest di Montreal, per poi ripercorre lo stesso itinerario in senso inverso. Mentre tra Parigi e Brest il percorso è caratterizzato da continui lievi saliscendi, il paesaggio del BMB è molto vario: collinoso in Massachusetts, montano in Vermont, e pianeggiante lungo il Lago Champlain e in Québec. Il dislivello complessivo in salita è di circa 10.000m. Il giro è diviso in dodici mini-tappe delimitate da stazioni di controllo, comunemente chiamate "controlli." I partecipanti devono raggiungere ogni controllo entro un determinato tempo per poter continuare. I controlli offrono cibo e assistenza meccanica, e alcuni hanno posti per dormire. L'ultimo controllo è il traguardo finale, da raggiungere entro 90 ore.

Il progetto

Volevo partecipare al BMB del 2004 insieme al mio amico Chip Coldwell, da anni mio compagno di avventure ciclistiche. Ci appassionammo a questo tipo di gran fondo (che i francesi chiamano "randonnées," ma per le quali non credo esista un termine italiano) nel 2003, quando pedalammo insieme in alcune qualifiche vicino Boston. Chip completò l'intera serie di qualifiche e partecipò al Parigi-Brest-Parigi, mentre Kara ed io, da poco sposati, inforcammo le bici per un viaggio di nozze in Irlanda.

Quest'anno BMB sarebbe stato l'evento centrale della mia stagione ciclistica. Per allenarci, Chip ed io completammo tutte le qualifiche di Boston (da 200Km a 600Km) e quelle di 200Km e 300Km a Westfield, sul confine col New York. Esplorammo in lungo e in largo il Massachusetts e il vicino New Hampshire. Pedalammo per oltre una settimana nelle Alpi. Alla vigilia di BMB ci sentivamo forti e preparati. Avevamo tre obbiettivi:

  1. Trasportare con le nostre forze tutto il nostro equipaggiamento. Gli organizzatori del BMB offrono un servizio d'appoggio e trasportano le borse dei partecipanti da un controllo all'altro. Ma trattandosi d'un giro in bici, ci sembrava paradossale far trasportare le nostre cose in un furgone.
  2. Essere "civili": ridurre al minimo i chilometri pedalati al buio, dormire bene ogni notte in un letto decente, e concederci il tempo di scattare qualche foto. Volevamo che BMB fosse un bel giro in bici più che una prova dei limiti della nostra resistenza.
  3. Entro i limiti permessi dai primi due obbiettivi, finire in meno di 80 ore. Ottanta è un bel numero rotondo, e negli anni precedenti la maggior parte dei partecipanti impiegò più di 80 ore. Sembrava un obbiettivo ambizioso ma possibile.

Il giorno prima: mercoledì, 18 agosto

Mercoledì pomeriggio, il giorno prima della partenza, Chip ed io pedaliamo da Cambridge al Holiday Inn a Newton, il cui parcheggio servirà da partenza e arrivo. Arriviamo a metà pomeriggio, mentre molti ciclisti sono in fila per l'obbligatoria ispezione delle bici.

Come sempre in questi eventi, troviamo un'incredibile varietà di biciclette. C'è un tandem Calfee in fibra di carbonio che pesa meno della mia bici singola. Ci sono un paio di bici da cronometro con telai aerodinamici in fibra di carbonio, enormi moltipliche e minuscoli rocchelli: i loro proprietari forse partiranno come dei fulmini, ma senz'altro soffriranno sulle montagne del Vermont. Ci sono bici in titanio di ogni tipo: Merlin, Litespeed, Seven, e quant'altro. Ci sono belle bici classiche in acciaio, tra cui una Mercian inglese a strische bianche e marroni, una Richard Sachs (costruita dall'omonimo artigiano del Connecticut) color rosso Ferrari, e un paio di Rivendell, bici californiane simili alla mia. Il mezzo più interessante, però, appartiene a Bob, un signore inglese dall'aria riservata che il suo telaio l'ha costruito da se, a casa, usando materiali comuni (il manubrio, per esempio, è rivestito con un tubo da giardino), secondo un disegno simile alle Dursley Pedersen danesi del primo '900. Solo un inglese..

In quanto a noi, Chip ha con se la sua bici da turismo, una Bob Jackson inglese con zaini sul telaietto posteriore e una borsa sul manubrio, mentre io ho la Rivendell arancione completa di borsone cerato sottosella e borsa sul manubrio.

Il pomeriggio passa in fretta e ceniamo insieme a vari amici e conoscenti del nostro circolo di ciclisti. Alcuni di loro---Marty, Dena, Jack---sono iscritti ai "quad centuries", quattro tappe giornaliere di 100 miglia (160km) ciascuna, che si tengono in contemporanea con Boston-Montreal-Boston e coprono metà del percorso di BMB, da Boston a Middlebury (Vermont) e ritorno. Seduti a tavola, ammiriamo le bici d'epoca che Marty e Jack useranno nel loro giro: la bella Hetchins anni '60 di Marty, e la riproduzione moderna ma fedele di una bici inglese del 1890 di Jack.

Per le otto di sera Chip ed io siamo già nella nostra stanza d'albergo. Mi sveglio al buio qualche ora più tardi, sorpreso e felice: m'accorgo d'essere riuscito ad addormentarmi nonostante tutta l'eccitazione per la partenza. In un attimo mi riaddormento.

Il primo giorno: giovedi, 19 agosto (443Km, circa 4400m di dislivello)

Ci svegliamo da soli, senza una sveglia, alle 3 del mattino. Chip s'è astenuto dal caffè da diverse settimane per aumentarne l'efficacia durante il giro, ed ora, finalmente libero di godersi la sua bevanda preferita, si lancia verso la macchina del caffè. Io invece m'avvio verso la zona partenza.

Sulla linea di partenza m'accorgo d'un ciclista alto e magro in sella ad una Seven in titanio il cui piccolo telaio è sovrastato da un tubo reggisella lunghissimo. Ha il pettorale numero 64. Mi sembra di riconoscerlo dalla qualifica di 400Km, dove staccò tutti fin dalla partenza e finì nell'incredibile tempo di 14 ore, quasi due ore davanti al secondo classificato. Gli chiedo se sia proprio lui, e lui annuisce e sembra quasi imbarazzato, scusandosi d'averci lasciato tutti indietro in quel modo. Modestia sorprendente: non so cosa rispondere. Gli chiedo se abbia un obbiettivo particolare per BMB, ma lui non si sbilancia, e sorride soltanto. Più tardi, mentre pedaliamo nel buio fuori Boston, mi ricordo il suo nome, che avevo letto sui risultati delle qualifiche: Saunders Whittlesey.

La partenza è alle quattro in punto. Seguiamo un veicolo battistrada attraverso le zone residenziali di Newton e Wellesley, fino alla statale 20. Poi Chip ed io ci troviamo nel gruppo di testa, una trentina di ciclisti veloci e silenziosi, e pedaliamo insieme fino all'alba a circa 38Km/h di media. L'aria è calda e umida, ma non abbastanza da essere fastidiosa. Sulla prima vera salita, vicino a Sterling, il gruppo si frammenta: non rivedremo Saunders Whittlesey per diverse centinaia di chilometri.

Il cielo è coperto da una coltre di nuvole basse. Chip comincia a soffrire sulle salite a causa dell'umidità, ma si rimette a posto con un rifornimento d'acqua e Gatorade nel paesino di Barre. Insieme superiamo i continui saliscendi del Massachusetts centrale, colline ricoperte da fitti boschi di aceri e quercie, alternate a valli paludose ancora avvolte nella nebbia del mattino. Vicino a Petersham scorgiamo un airone, immobile sulle sponde d'un lago. Ogni tanto tra le nuvole spunta pallido il sole.

Alle 8:34 arriviamo al primo controllo, la "Fattoria Bullard" nel paese di New Salem. Melinda Lyon ci accoglie piena d'entusiasmo e incoraggiamento. Melinda abita vicino a Boston ed è una delle cicliste più veloci a livello internazionale: detiene il primato femminile di Boston-Montreal-Boston ed è l'unica persona ad aver vinto per due volte la classifica femminile di Parigi-Brest-Parigi. Ma quest'anno ha deciso di riposarsi, e partecipa a BMB come volontaria al controllo di Bullard. Non c'è tempo da perdere: c'imbottiamo le tasche di panini e biscotti, riempiamo le borracce con acqua e Gatorade, e alle 8:45 siamo di nuovo in strada.

La tappa successiva, dalla Fattoria Bullard a Brattleboro in Vermont, è lunga appena 61Km. Il foglio con le indicazioni dice, "attenzione ai pescatori lungo il Lago Mattawa," ed infatti eccoli là, seduti come sempre sul bordo della strada a pochi metri dall'acqua, parte del paesaggio né più né meno degli alberi o del lago stesso. Passato il lago, la strada sale dolcemente tra le pinete del Monte Grace, per poi ridiscendere in New Hampshire. Poco oltre la cima del monte incontriamo tre ciclisti venuti da Washington D.C. per partecipare a BMB. Uno di loro, Ed, viaggia su una Rivendell Rambouillet arancione diversa dalla mia solo nella dimensione del telaio e nella scelta di alcuni componenti. Non avevo mai visto la mia bici così, di lato e in movimento: è davvero bella, iridescente sotto al sole. I due compagni di Ed sono in sella ad un tandem in titanio. Si chiamano Chuck e Crista, marito e moglie, e vanno davvero forte. In genere, i tandem sono più lenti delle biciclette normali sulle salite, ma loro invece rimangono con noi fino in cima al Monte Pisgah, la prima salita ostica del percorso. In discesa, poi, i tandem hanno un notevole vantaggio aerodinamico rispetto alle bici singole. Consapevole di ciò, mi aggancio alla loro ruota e rimango con loro per tutta la lunga discesa fino a Brattleboro. Ad un certo punto do un'occhiata al tachimetro: 83Km/h.

Il tandem ed io arriviamo a Brattleboro alle 11. Chip, Ed, e alcuni altri ci raggiungono poco più tardi. Chip ha appena rotto il cavo del cambio anteriore, ma per fortuna Pierce Gafgen, il direttore tecnico di BMB, è li col suo furgone d'appoggio. Pierce quasi si fa male nel sollevare la Bob Jackson di Chip, carica com'è dei suoi zaini. Chip potrebbe forse vincere il poco ambito premio di bici più pesante del giro.

Rifocillati con riso, frutta, e biscotti, Chip ed io partiamo da Brattleboro alle 11:30. Ed è partito da poco in cerca di qualcosa di meglio da mangiare, mentre Chuck e Crista si stanno ancora riposando. Pensiamo di rivederli tra poco, ma purtroppo non li rincontreremo più fino a Boston.

Dopo qualche chilometro di traffico sulla statale 5, a Putney giriamo a sinistra su stradine secondarie che ci porteranno a Ludlow, sempre in Vermont. Questo pezzo di strada, tra Brattleboro e Ludlow, è forse il più duro del percorso, ma anche il più bello e soddisfacente. Da Putney a Chester la strada scala due creste montuose, in un continuo susseguirsi di piccole salite e discese. Attraversiamo campi aperti, fattorie e fienili in legno, e bellissimi boschi d'acero. Massi granitici ricoperti di muschio sbucano qua e la dal terreno, mentre i tubicini per la raccolta dello sciroppo d'acero scorrono lungo i tronchi e ricoprono il sottobosco come un'enorme ragnatela.

C'imbattiamo nel "controllo segreto" sulla statale 121/35 prima di Grafton. Questo controllo non è preannunciato come gli altri: è li per impedire, seppur in modo simbolico, che qualcuno prenda una scorciatoia. Nel nostro caso, il controllo non è altro che David Jordan, uno degli organizzatori, seduto sotto un telone ancorato a terra da bottiglioni d'acqua. Chip ha sete, ed è deluso che David non voglia sacrificare una delle àncore del suo telone. Così ci fermiamo a comprare un thè freddo a Grafton, prima della lunga salita di Andover Ridge. Ad Andover Ridge c'è l'unico tornante dell'intero percorso---l'unico tornante in più di 10.000 metri di salita!---forse a dimostrare che gli ingegneri stradali del New England, quando vogliono, sanno costruire strade di montagna con pendenza ragionevoli. Altrove, evidentemente, vogliono semplicemente rendere la vita più interessante ai ciclisti. Ed infatti le cose diventano presto interessanti. Oltre Andover Ridge, scollinata Terrible Mountain ("Montagna Terribile"), si scende in picchiata verso Ludlow: tre chilometri e mezzo al 10% di pendenza, 80Km/h senza nessuna curva che richieda l'uso dei freni. Arrivo al controllo alle 3:33 del pomeriggio, seguito a pochi minuti da Chip.

Ci rimettiamo in strada alle 4:15, dopo un pasto di patate al forno e insalata di pasta fredda. Dapprima mi sento stanco e fiacco, ma già a Killington sto molto meglio. Dopo qualche chilometro di salita raggiungiamo la base della funivia di Killington, per poi tuffarci in discesa attraverso un bosco di conifere fino alla valle del White River (Fiume Bianco). Il sole riappare tra le nuvole e illumina la bella vallata: campi di grano, piccoli silos, granai d'un rosso intenso, il tutto circondato da ripidi pendii boscosi.

Purtroppo però l'asfalto è ancora bagnato da un recente temporale, e al nostro arrivo a Rochester ricomincia a piovere. Non faccio in tempo a fermarmi per comprare qualcosa da bere che l'acqua viene giù a catinelle. In tre ci ripariamo sotto la tettoia del negozio d'alimentari: Chip, io, ed un ciclista da Indianapolis che abbiamo raggiunto da poco. La sua è una delle bici da cronometro con i rapporti esageratamente lunghi che avevo visto durante l'ispezione meccanica. Dopo una partenza bruciante, ora sulle montagne sta soffrendo. Incominciamo a sentire freddo, e decidiamo di muoverci e ripartire nonostante il temporale.

Smette di piovere a Hancock, dove tre ragazzine mi fanno il tifo dalla veranda di casa. Aspetto Chip e il nostro nuovo compagno all'incrocio con la statale 125, e insieme proseguiamo verso il passo di Middlebury. Riappare il sole, ormai basso sull'orizzonte di fronte a noi. La strada bagnata brilla nella luce del tramonto, e una nebbiolina dorata avvolge la vegetazione tutt'attorno. La salita al passo, benchè lunga, non è particolarmente ripida, e l'unico problema è un camion carico di tronchi che mi supera un pò troppo da vicino. Arrivo in cima per primo, e Chip mi raggiunge dopo qualche minuto. Oramai il sole sta per scomparire, ma del nostro compagno da Indianapolis neppure l'ombra. Decidiamo di continuare senza aspettarlo, in modo da finire la discesa prima che faccia buio. Il tratto dal passo di Middlebury al paese omonimo è la più lunga discesa ininterrota del percorso, quasi una decina di chilometri con pendenze tra il 5% e il 10%. Scendiamo veloci attraverso il fitto bosco, oltre un inusuale cartello stradale che indica "Pericolo: alci per quattro miglia" (le alci americane sono talmente grandi che l'impatto tra un'auto e un'alce è spesso fatale per gli occupanti dell'auto), ed oltre l'idilliaco campus di Middlebury College. Arriviamo al controllo di Middlebury alle 8:33, ormai col buio.

È ancora troppo presto per fermarsi, e vogliamo davvero arrivare al Fairfield Inn di Williston, a 60Km da Middlebury, dove ho prenotato una stanza d'albergo. Ci rimpinziamo di pizza e lasagne, imbottiamo le tasche di biscotti per la prima colazione, e ripartiamo poco dopo le nove. Sul profilo altimetrico la strada fino a Williston sembrava quasi piatta, ma in realtà è un saliscendi continuo, reso fastidioso dal buio che non permette di vedere la cima di una salita dal fondo della valle precedente. Passiamo il tempo a chiacchierare mentre pedaliamo uno accanto all'altro. A un certo punto non ne posso più: mi alzo sui pedali e scatto verso la cima del colle, imprecando contro il buio e le salite che non finiscono mai. Arrivato in cima, però, vedo delle luci e un'autostrada nella valle successiva: finalmente siamo arrivati! Senza aspettare Chip, mi precipito giù per la ripida discesa di due chilometri fino al paese. Raggiungo il parcheggio dell'albergo alle 11:30. Siamo puliti e pronti per dormire in meno di mezz'ora. Dopo 443Km, mi addormento in un attimo.

Il secondo giorno: venerdi, 20 agosto (392Km, circa 1750m di dislivello)

La sveglia suona alle cinque, ma c'impieghiamo un pò a diventare coerenti e fare colazione. Siamo in strada poco prima delle sei, sotto un cielo limpido illuminato da un'alba bellissima. Le gambe tardano a sgranchirsi mentre attraversiamo una lunga serie di centri commerciali ancora deserti. Ma pian piano i muscoli si sciolgono, e in poco tempo raggiungiamo il Lago Champlain.

Il paesaggio è molto diverso da ieri. Le ripide colline e i monti boscosi ormai sono lontani. Al loro posto si apre di fronte a noi la grande superficie del lago, stretto ma lungo circa 200Km e punteggiato da molte isole basse. La nostra strada si snoda lungo il lago e salta da un isolotto all'altro con lunghi ponti. Verso oriente, avvolte ancora nella foschia del mattino, le Green Mountains (Montagne Verdi) del Vermont si stagliano contro l'orizzonte.

Chip ed io capiamo che è stata un'ottima idea fermarsi per dormire. Ci sentiamo in forma: alterniamo le tirate ogni mezz'ora e copriamo gli 85 chilometri fino al controllo di Rouses Point in meno di tre ore, alla media di 30Km/h. Per strada superiamo molti ciclisti che non hanno dormito affatto, e si vede: si reggono appena sui pedali.

Ma incontriamo anche una persona molto, molto veloce. Siamo a North Hero, a 130Km dalla metà del percorso, quando vediamo un ciclista venirci incontro. Dapprima immagino che sia qualcuno del posto, ma no: è Saunders Whittlesey già sulla via del ritorno, quindi 260Km davanti a noi dopo solo una giornata di corsa. Ci saluta e sorride, fresco e contento non meno che alla partenza, 28 ore prima. Mi giro e lo vedo scomparire in lontananza. Non lo rivedremo più.

"Waffles" e cereali non mi sono mai piaciuti tanto come al controllo di Rouses Point. Durante la colazione parliamo con Glen Reed, che abbiamo conosciuto durante le qualifiche a Boston. Ha deciso di non dormire la prima notte, ma ora è esausto e decide di fermarsi e riposare al controllo. Noi invece stiamo abbastanza bene, e ci rimettiamo in sella alle 9:30, dopo poco più di mezz'ora di pausa.

Le mie paure riguardo al passaporto e al visto di lavoro si dimostrano infondate, e attraversiamo il confine canadese senza problemi. Il Québec, però, è la parte meno bella del percorso: monotoni saliscendi attraverso campi di grano senza fine, superfice stradale penosa, e forte vento contrario. Incontriamo un gruppetto di ciclisti che pedalano nella direzione opposta: siamo a circa 50Km dalla metà del percorso, quindi loro ci precedeno d'un centinaio di chilometri. In lontananza scorgiamo una cresta rocciosa, quasi priva di vegetazione, attraversata da un singolo solco verticale. Avvicinandoci, ci accorgiamo che quel solco verticale non è altro che la strada che dovremo percorrere, Chemin de Covey Hill.

Nonostante l'apparenza minacciosa, la salita fino alla cresta è ripida ma breve, e una volta in cima mancano solo pochi chilometri al controllo di metà percorso. Raggiungiamo il controllo, ospitato presso un centro della Reale Legione Canadese, alle 12:41---ora di pranzo. Veniamo serviti da un gruppo di anziani veterani di guerra e le loro mogli, gente dolcissima ma assolutamente estranea alle necessità caloriche d'un ciclista. Riusciamo comunque a saziarci, ma piano piano, un piccolo panino al formaggio alla volta. Scattiamo qualche foto di rito davanti al Centro, e per l'una e mezzo siamo di nuovo in sella.

Il vento, che in precedenza ci soffiava contro, ora è alle nostre spalle. Pedaliamo veloci, il nostro ritmo interrotto solo brevemente da una foratura della mia ruota posteriore. Dalla cima della cresta di Covey Hill scorgiamo Montreal, con i suoi grattacieli accanto alla massa scura del Mont Royal. Che strano essere davvero arrivati così vicino alla città!

Ora incontriamo molti ciclisti che viaggiano nella direzione opposta, e che sono quindi un centinaio di chilometri dietro di noi. Uno di loro è Bob, l'inglese con la bici fatta in casa, vestito impeccabilmente in pantaloni e camicia. Niente tutina da ciclista per questo signore di vecchio stampo. Immagino un esploratore d'epoca vittoriana in qualche remota giungla, camicia inamidata e perfetta nel caldo opprimente.

Di nuovo nessun problema al confine, e siamo di ritorno al controllo di Rouses Point alle 4:39 del pomeriggio. Ripartiamo di buona lena alle 5:15, dopo abbondanti dosi di pasta e torta di mele, e dopo un'accurata disinfezione e lubrificazione dell'interfaccia uomo-macchina, nuovo eufemismo coniato per descrivere... beh, si capisce. Non abbiamo intenzione di fermarci per ben 147Km, fino al controllo di Middlebury. Le tasche della mia maglia da ciclismo traboccano di biscotti.

Chip ed io riprendiamo il ritmo che avevamo all'andata, alternando tirate lunghe trenta minuti. Chip ha una pedalata straordinariamente regolare ed affidabile, e procediamo veloci nonostante il forte vento contrario. Sulla mezz'ora io passo avanti e cerco di mantenere una velocità di 28-29Km/h, scandendo il tempo in intervalli regolari di 5 minuti. Poi, quando scocca l'ora intera, Chip mi supera e io lo seguo a ruota per un'altra mezz'ora, e così via. Stare dietro offre un vantaggio aerodinamico notevole, e io ne approfitto per sgranchirmi e dare un'occhiata in giro. Più volte tiro fuori dalla tasca la mia piccola Olympus e fotografo il bel paesaggio tutt'attorno: la luce del tardo pomeriggio sulle acque del lago, gli alberi lungo la strada, le spettacolari nuvole temporalesche sull'orizzonte. Così, alternando sforzo e riposo, superiamo diversi ciclisti senza nemmeno soffrire troppo.

Dopo una breve pausa a Colchester per riempire le borracce, arriviamo a Burlington in serata, proprio all'ora di punta del traffico del venerdì sera. È quindi con grande sollievo che ci ritroviamo di nuovo in aperta campagna, sulla statale 116 per Middlebury. I saliscendi ora sono meno fastidiosi di quanto fossero ieri sera andando in direzione contraria: oggi abbiamo meno chilometri nelle gambe, e il vento è a nostro favore.

Veniamo accostati da un veicolo d'appoggio, ma non ce n'è bisogno: rispondo alle domande del personale con un bel pollice all'insù. Anzi, ora mi sento davvero bene, meglio che mai. Per gioco, decido di fare le salite senza mai usare un rapporto più corto del 50x21. Aspetto Chip in cima a ogni salita, ma dopo qualche chilometro pure lui comincia a pedalare forte, per cercare di svegliarsi un pò. Superiamo veloci le ultime salite prima di Middlebury, e arriviamo al controllo alle 11:28 di sera.

Il controllo di Middlebury ha un'aria tristissima. I volontari in servizio sono mezzi addormentati, il cibo è quasi tutto finito, e l'unico altro ciclista è seduto in un'angolo, occupato a scacciare le zanzare che gli volano intorno. Pensavamo di dormire qui, ma l'idea di una notte passata su dei materassini di gomma sotto nuvole di zanzare non è delle più piacevoli. Chiamo alcuni alberghi ma non trovo nessuna camera libera. Ma Chip non si rassegna facilmente: pian piano aumenta il prezzo che è disposto a pagare, finchè troviamo un unico letto matrimoniale in un Marriott fuori città. Mi riempio le tasche di biscotti per il mattino, e partiamo in direzione dell'albergo.

La signora che ci accoglie non riesce a capire che siamo arrivati da Boston in bicicletta, e ci offre più volte indicazioni su dove meglio parcheggiare. È sempre bene finire la giornata sul ridere. Poco dopo mezzanotte ci siamo fatti la doccia e siamo coricati ai lati opposti del nostro unico, prezioso, letto matrimoniale. "Tu non ne parlare a Kara, e io non lo dirò a Cindy." Spegnamo le luci e ci addormentiamo in un attimo.

Il terzo giorno: sabato, 21 agosto (378Km, circa 3900m di dislivello)

Ci svegliamo alle 5:15, e mi rendo conto che il rumore che sentivo nei sogni è vero: fuori piove a dirotto. Chip si gira nel letto e propone d'aspettare che finisca di piovere, ma basta un'occhiata alle previsioni del tempo per capire che non si tratta d'una nuvoletta passeggera.

Nel vestirsi, Chip scopre con costernazione di non avere più l'impermeabile. L'ha lasciato nell'armadio al Fairfield Inn di Williston. Per qualche attimo si dispera e considera l'abbandono, ma non tutto è perduto: chiamo il controllo di Middlebury, e mi dicono che hanno ancora qualche poncho d'emergenza. Inforco la bici, ed entro un quarto d'ora sono di ritorno col poncho. Chip intanto ha chiamato l'albergo della notte scorsa, dove promettono d'inoltrargli l'impermeabile attraverso il personale d'appoggio del BMB. Purtroppo, però, Chip non rivedrà il suo impermeabile fino a dopo il traguardo.

E così finalmente partiamo sotto la pioggia battente, Chip protetto da una specie di sacco della spazzatura giallo con le maniche. Oltre ad avere una delle bici più pesanti, ora è anche il meno aerodinamico. Ma non mi preoccupo più---Chip è abbastanza forte da superare ben altri ostacoli---ed anzi mi diverto a guardare questo uccellaccio su due ruote con le sue penne di plastica che sbattono rumorosamente nel vento.

Sotto la pioggia fresca, la lunga salita al passo di Middlebury non è difficile. Superiamo un paio di ciclisti, e per un pò mi trovo a salire da solo. Ma presto raggiungo una distinta signora con i capelli grigi in sella ad una Specialized rossa. Si chiama Dolores, è una bibliotecaria di New York, e sta partecipando ai "quad centuries" (le quattro tappe da 100 miglia ciascuna). Come età potrebbe essere mia madre, ma in salita va più forte di molti giovani. Mentre attraversiamo il campus di Middlebury College, lei si entusiasma tutta: dice che qui c'è una famosa colonia di scrittori, e che una volta visse qui anche Robert Frost, uno dei maggiori poeti americani del ventesimo secolo. Dolores mi dà anche la grande notizia del giorno: a Middlebury le hanno detto che Saunders Whittlesey è gia arrivato a Boston, avendo finito il percorso in 48 ore e 9 minuti, quasi due ore in meno del precedente primato di 50 ore e 1 minuto. A quanto pare il suo obbiettivo era di finire in 44 ore, ma un problema di navigazione in Canada gli è costato qualche ora. Comunque, davvero incredibile e ammirevole.

In cima al passo saluto Dolores e mi fermo ad aspettare Chip. Arriva dopo qualche minuto, accompagnato dai due che abbiamo superato alla base della salita: Eric, un anestesiologo dal Colorado, e Scott, che vive in Ohio. Assieme copriamo i rimanenti chilometri fino a Ludlow, sotto una pioggia costante e sempre più fredda.

Nonostante il freddo, io mi sento sorprendentemente forte, come la sera prima. Accelero sulle salite, e a volte pedalo un pò da solo e poi mi fermo ad aspettare gli altri. Vicino alla funivia di Killington incontro Janika Eckert e Rob Johnston, una coppia del Maine che Chip ed io abbiamo conosciuto durante la qualifica di 600Km. Pure loro, come Dolores, stanno facendo i "quad centuries," e sembrano allegri come al solito nonostante il cattivo tempo. Ci fermiamo davanti ad un caffè vicino alla funivia, e quando Chip ci raggiunge, Janika generosamente gli offre una tazza di caffè caldo. È sempre bello rivederli.

Arriviamo a Ludlow alle 11:33. Ho i guanti inzuppati e non sento più le mani dal freddo. Sono deluso che l'unica minestra calda sia a base di pollo. Chip cerca di convincermi che le condizioni giustificherebbero un'eccezione alla mia dieta vegetariana, ma io invece m'arrangio con una patata al forno e dell'insalata di pasta al microonde. L'insalata di pasta al microonde, credetemi, fa schifo. Continuo ad avere freddo nonostante mi sia asciugato con un asciugamano, e sono contento quando, circa un'ora dopo, decidiamo di ripartire.

L'ascesa a Terrible Mountain (il "Monte Terribile" scalato dal versante opposto l'altro ieri) comincia appena fuori dal controllo, prima dolce e poi sempre più ripida, tre chilometri e mezzo attorno al 10% di pendenza. Attacco la salita con tutte le mie forze, e man mano che riscaldo i muscoli gelati mi sento sempre meglio, anzi, bene come non mai in questo giro. Man mano scalo le marce: 50x19 ... 50x21 ... 50x24 ... mi alzo sui pedali e continuo a forzare l'andatura, rassegnandomi al 36x24 solo sulla rampa finale. Chip mi raggiunge in cima nove minuti più tardi, seguito da lì a poco da Eric e Scott.

Viaggiamo insieme fino a Brattleboro. Il nostro gruppetto si sfila un pò sulle salite, per poi ricongiungersi sulle discese e in pianura. I boschi d'aceri tra Chester e Westminster sembrano non finire mai, ma è bello essere in quattro e chiacchierare un pò. Superiamo il tratto trafficato lungo la statale 5, e arriviamo a Brattleboro alle 4:45. Tutti parlano di Saunders Whittlesey e del suo primato. Io invece sto zitto e mi do da fare con una minestra e del riso fritto alla cinese.

Eric e Scott decidono di riposarsi un pò di più, e così Chip ed io ripartiamo da soli verso le 5:45. Ormai ha smesso di piovere, e il vento sposta le nuvole verso levante. Dalla cima del Monte Pisgah vediamo chiazze di cielo sereno e grandi distese boscose illuminate dal sole al tramonto. Purtroppo, però, io sto perdendo colpi. Lo stomaco non funziona più, e ad ogni rutto sento in bocca l'acido di stomaco e il riso fritto. Il Monte Grace, tanto docile in passato, diventa una salita massacrante. Comincio a chiedermi se riusciremo ad arrivare a Boston questa sera.

Ma quando arriviamo a Bullard Farm, alle 8:42 di sera, la situazione migliora presto. Melinda ci accoglie con entusiasmo, e mantiene viva la conversazione mentre noi mandiamo giù minestre, panini all'uovo, latte con cereali e zucchero, e quant'altro. Poi mi dà un sacchetto pieno di pasticche contro l'acido di stomaco e dice, "Ascolta una che se ne intende. Di queste non ne puoi mai prendere troppe." Nel frattempo Ed Kross, l'altro volontario in servizio al controllo, ha rigonfiato le ruote e lubrificato le catene delle nostre bici. Non capita tutti i giorni d'essere accolti dalla campionessa femminile di PBP e ricevere assistenza meccanica dal detentore del vecchio primato maschile di BMB. Ricaricati da questi due super-volontari, non rimane che rimetterci in strada. In effetti, non mi sento poi troppo male.

Ripartiamo per Boston alle 9:30 di sera insieme a Dan, un ciclista di Minneapolis. Siamo stanchi e pedaliamo piano sui saliscendi del Massachusetts centrale tra Petersham e Barre. Ogni pochi minuti metto la mano in tasca e prendo una delle pasticche antiacido datemi da Melinda. Ci fermiamo a comprare dell'acqua a Barre, e raccogliamo un quarto ciclista, Marc dal Michigan. Ormai l'ostacolo principale è l'asfalto vicino a Hubbardston, talmente rovinato che non riusciamo a superare i 20Km/h. Ma la strada dopo un pò migliora, e oltre Princeton c'è una lunga discesa fino a Sterling, dove i saliscendi praticamente finiscono. Queste sono strade che Chip ed io conosciamo benissimo, e non c'è traffico.

Siamo quasi a casa, all'incrocio delle statali 20 e 27, quando il mio fanale anteriore si spegne. Chip m'aiuta a sostituire la lampadina, giriamo la ruota anteriore (la lampadina è alimentata da una dinamo nel mozzo della ruota), e ... niente luce. Frustrato, decido di procedere con la sola luce del faretto montato sul casco. Ormai voglio solamente finire in meno di 72 ore. Che sorpresa quindi, quando pochi chilometri più tardi mi sporgo in avanti e m'accorgo che l'interruttore che controlla il faro è in posizione spenta. Si vede che l'avevo toccato senza accorgermene mentre cambiavamo la lampadina. E io che m'illudevo d'essere ancora ben sveglio!

Arriviamo al traguardo alle 3:43 del mattino, accolti da applausi e un tintinnio di campanelli. Il nostro tempo è di 71 ore e 43 minuti. Siamo tra i primi ad arrivare, nonostate il primo, Saunders, sia già arrivato da 24 ore. Scambiamo qualche parola con gli organizzatori, e poi Cindy, la fidanzata di Chip, ci porta a casa in macchina. Mi lasciano davanti casa mentre il giorno albeggia.

Epilogo

Mi sveglio per l'ora di pranzo, e nel pomeriggio Chip, Cindy, ed io raggiungiamo l'Holiday Inn in metro per partecipare al pic-nic che conclude BMB. E' una bellissima giornata di sole, e pian piano tutti i ciclisti, sia quelli che partecipano a BMB che quelli iscritti ai "quad centuries," arrivano al traguardo. Vediamo Marty e Dena, Janika e Rob, Eric, Ed e Crista e Chuck col loro tandem, e tanti altri. È bello sapere che sono tutti arrivati bene. Chip e Cindy se ne vanno verso le 6 del pomeriggio, ma io rimango fino a sera per assorbire il più possibile l'atmosfera.

Verso le 8, finalmente, arriva Bob sulla sua bici fatta in casa. La sua camicia, naturalmente, è ancora impeccabile.